Il gioco come bene comune sembra un traguardo irraggiungibile… Sino a quando si parla, si discute, si chiacchiera, si litiga sul gioco sembra che tutti siano d’accordo: quando invece si passa “alle vie di fatto”, al “concreto” al momento di trovare un “vero, reale e tangibile” accordo nella costruzione di “un bene comune come il gioco”, riaffiorano ancora le vecchie diatribe e sembra quasi impossibile che si possa trovare un accordo che faccia bene a tutti. Le parti non accettano un confronto con la filiera per affrontare in modo serio e reale il tema del gioco patologico. Se ne è parlato “allo sfinimento”, ma quando si cerca di concretizzare “chi deve fare cosa”… ognuno rientra nel proprio guscio e nessuno si vuole assumere le proprie “responsabilità”: quindi, come si riuscirà in questa “costruzione di un bene comune”, se in comune non si vuole decidere nulla?
Non bisogna, necessariamente, accettare il gioco “in toto”. Non ci si deve assolutamente convincere che il gioco può essere considerato una risorsa, un valore per il Paese, qualora si possa opportunamente e dettagliatamente disciplinarlo, però bisogna proseguire nel cammino iniziato, forse anche “toppandosi il naso”, avendo come traguardo solo una forte collaborazione che porti alla costruzione “di quel bene comune” di cui si è tanto parlato. In realtà, ultimamente, si è fatto un notevole passo indietro -e non ce n’era ovviamente bisogno- sotto il profilo politico ed istituzionale e se non fosse tragico verrebbe da sorridere a ripensare a quanti si dichiaravano anti-proibizionisti: in realtà, a questo ci credono veramente in pochi! Perchè per la “costruzione di questo bene comune” non si accetta il dialogo con tutto il settore negandone praticamente così l’esistenza? E’ come fare “gli struzzi” e non accettare una realtà che esiste, è presente, crea posti di lavoro, produce risorse per l’Erario e divertimento per… chi lo desidera.