“Se il gioco cresce, cresce l’America”. Con questo slogan l’American Gaming Association – l’associazione degli imprenditori dell’azzardo, ha presentato il suo primo rapporto sullo stato del settore negli States.
Lo studio, commissionato alla società di consulenza britannica Oxford Economics, ha stimato in 240 miliardi di dollari l’impatto economico diretto e indiretto del settore sull’intera economia nazionale. Negli Stati Uniti i 510 casinò commerciali e i 474 casinò tribali – ovvero gestiti dalle tribù dei Nativi – generano nei 39 stati in cui sono presenti un fatturato complessivo di oltre 81 miliardi di dollari. Ci sono poi, i produttori di apparecchi con un giro d’affari di quasi 6 miliardi. Senza considerare l’indotto. Si stima che i milioni di visitatori che ogni anno affollano i floor dei casinò spendano oltre 14 miliardi di dollari in beni e servizi complementari, risorse che contribuiscono ad incrementare il giro d’affari delle economie locali. Altri 60 milioni sono generati dalla catena degli approvvigionamenti. Infine, 78 miliardi è la spesa generata dai dipendenti del settore.
La ricerca si è focalizzata, inoltre, sulle esternalità positive della filiera sull’intero sistema economico.
L’occupazione, soprattutto in tempi di recessione, è uno dei fattori chiava da valutare. Negli Stati Uniti, l’industria del gambling occupa più di 1,7 milioni di persone, più risorse del settore del trasporto aereo con un monte salari annuo di quasi 75 miliardi di dollari. Di questi 735 mila unità sono impiegate direttamente, altre 383 mila sono occupate nell’impresa manifatturiera. La spesa di queste due categorie sostiene, ancora, altri 595 posti di lavoro (assistenza sanitaria, credito, istruzione).
Un’altra variabile da considerare quando si parla di gioco d’azzardo è la tassazione. Denaro che, negli Stati Uniti, finanzia direttamente servizi pubblici come scuole, biblioteche e polizia locale. L’industria del gaming genera entrare fiscali per complessivi 38 miliardi di dollari.
Un manifesto chiaro quella dell’AGA che, in conclusione ai politici – conservatori e repubblicani – di collaborare per uno sviluppo sano e sostenibile dell’industria.