La recente Relazione annuale al Parlamento del Dipartimento politiche antidroga (DPA) ha sollevato molte e diversificate reazioni sia in ambito politico sia sociale e destato grande interesse in molti gruppi e settori della Sanità. Purtroppo le poche pagine del Rapporto che affrontano tale fenomeno lasciano con la bocca asciutta. Come si può leggere nel testo “ad oggi tuttavia non esistono studi e dati epidemiologici accreditati in grado di quantificare correttamente il problema, sia nella dimensione che nella diffusione ed eventuali trend di evoluzione”. Tutto ciò ci deve indurre a ragionare sul fatto che troppo spesso siamo portati ad assegnare un valore distorto alla realtà dai fatti sulla base delle nostre convinzioni ideologiche. È questo il caso del gioco pubblico nel nostro Paese, accostato, oramai, a qualunque nefandezza e raffigurato come moltiplicatore esponenziale di problemi sociali. Con ciò non si intende entrare nel merito delle decisioni che inducono a parteggiare “pro” o “contro”, ma si vuole sottolineare come tali scelta debbano essere supportate da dati ufficiali. Nessuno vuole sottovalutare un dato come quello dei circa 6.800 pazienti in cura presso le strutture del SSN oppure la percentuale dei giovani tra i 15 e i 19 anni con problemi gravi legati al gioco (8,1%), ma è opportuno che, soprattutto le Istituzioni, non affrontino un problema serio come il GAP sull’onda dell’emotività, senza una conoscenza scientifica e approfondita della materia. Impossibile al momento capire esattamente come si sta evolvendo il fenomeno e quali indirizzi di “salute pubblica” sarebbe opportuno praticare per incidere in maniera significativa su tali problematiche. È forse arrivato il momento, in occasione della legge di delega fiscale, di riunire intorno a un tavolo tutti i soggetti coinvolti (Istituzioni, associazioni di categoria e organizzazioni che si occupano di GAP) e rivedere il sistema per il bene dei cittadini e delle aziende che in questo settore operano.