Quando si parla di gioco ci si riferisce, letteralmente, a qualsiasi attività scelta a cui ci si può dedicare per lo svago ed il divertimento ed in cui si mettano in campo capacità fisiche, manuali ed intellettuali. La letteratura lo rappresenta come uno dei principali strumenti che accompagna durante la crescita e che sviluppa la fantasia, la socializzazione ed insegna a comunicare ed a rispettare le “regole del gioco”: cosa fondamentale, sopratutto, nel proseguimento della vita.
Ma il gioco deve essere vissuto come un’attività libera, incerta e deve restare entro limiti ben definiti di tempo e spazio: è un’attività effimera che sottostà a regole diverse da quelle della vita normale ed è per questo che nel gioco deve esserci assoluta consapevolezza di una realtà “diversa” da quella della vita “normale”.
Questa è la cultura del gioco: diventa indispensabile conoscerla ed applicarla bene se non ci si vuole trovare coinvolti in un approccio non corretto che prende il sopravvento sulla psiche, trasformandosi in quel gioco compulsivo e problematico che diventa, poi, dipendenza.
Dal punto di vista sociologico, i giochi si possono distinguere in quattro categorie e corrispondono agli istinti: la competizione, la ricerca della fortuna, l’imitazione e la vertigine. Quindi ci si trova dinnanzi a giochi dove predomina la competizione, il caso e la ricerca della fortuna, quelli che sono caratterizzati dall’imitazione ed, infine, quelli che racchiudono la “ricerca di vertigine”. Ogni categoria è caratterizzata da una “sorta di risultato” che racchiude in una il principio di divertimento e manifestazione dell’istinto di gioco, e nell’altra la caratterizzazione di definire convenzioni ostacolanti per rendere difficile raggiungere un determinato risultato. In pratica, il gioco diventa una occasione di allenamento e sviluppa abilità e racchiude la capacità di disciplinare gli istinti, li educa e li rendo idonei a contribuire ad arricchire e determinare gli stimoli delle culture.